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-- Seconda parte -- Dall’altra parte della città c’era il palazzo reale. Un bel giorno il re convocò il granduca e gli disse: “Caro Filoscio, è tempo che il principe prenda moglie e si sistemi”. “Ma, Vostra Maestà”, rispose il duca, “è impossibile! E’ noto a tutti che in questo paese le ragazze sono dei purpi inauditi!!”. “Hai ragione”, ammise il re, “Ma daremo comunque un ballo ed inviteremo tutte le fanciulle del reame. Deve essercene almeno una decente, una con cui almeno si possa interagire, anche se con l’ausilio di un buon cuscino! Che diamine!”. Subito furono spediti gli inviti, ed il regale biglietto fu portato anche nella casa dove abitava Scemerentola. “Che bello un ballo! Che bello un ballo! Che bello un ballo! Che bello un ballo!” ecc. ecc., esclamò Scemerentola quando seppe dell’invito, ma le sorellastre risero all’idea che la poveretta sarebbe dovuta andare al ballo con indosso un grembiule. “Ma io non voglio andare al ballo vestita da pecora viva!”, singhiozzò la fanciulla. “Bene”, rispose seccamente la matrigna, “allora non ci andrai affatto, che peccato! Vuol dire che rimarrai qui a pulire il catrame che hai versato sul pianoforte l’altro giorno”. Scemerentola salì tristemente la scala buia e si affacciò alla sua finestra. Guardò mesta il palazzo lontano che risplendeva di luci, ed una beccaccia che, al dolce chiarore della luna, si infilzava proprio sul filo spinato che lei stessa aveva preparato. Ma, all’improvviso, una candela venne accesa alle sue spalle. Scemerentola si voltò e vide un bellissimo vestito firmato che i suoi amici topi avevano appena sradicato via dalla carcassa di una nobildonna deceduta pocanzi in strada di peste nera. “Grazie amici” esclamò e, in men che non si dica, indossò l’abito e corse giù per le scale gridando “VENGO ANCH’IO, NO TU NO! VENGO ANCH’IO, NO TU NO!” e ridendo sguaiatamente. Ma Gabi e Netta, che non erano ancora andate via, quando la videro furono accecate dall’invidia. “Il mio vestito!”, gridò una. “Le mie mutande!” urlò l’altra, e strapparono il vestito di Scemerentola. Poi, soddisfatte, se ne andarono al ballo. La donnina con voce dolce le disse: “Asciuga le tue lacrime, please. Non vorrai andare in discoteca in quello stato!”. “Chi siete?” “Sono la tua fata madrina e mi chiamo Smemorina. Anzi, sono gli amici che mi chiamano così perché spesso alzo un po’ troppo il gomito, eh eh”. E, così dicendo, si stravaccò a terra priva di sensi. “Ehi Smemorina, non abbiamo molto tempo!”, urlò Scemerentola scuotendola vigorosamente. |